Sunday 25 October 2015

OPEN BORDERS CARAVAN - Report il giorno dopo



OPEN BORDERS CARAVAN - Report il giorno dopo

Open Borders Caravan una notte insonne. 200 persone da diversi  paesi, venuti come attivisti piu’ che come volontari, partiti per un’azione politica, per dare sostegno soprattutto premendo sulla frontiere in un confronto impari e disarmato con le forze dell’ordine, per aiutare i migranti a passare a piedi o magari in macchina. Al contatto diretto la realta’ che troviamo travolge le nostre aspettative e i nostri piani, la complessita’ della situazione si espande ancora, situazione in continua mutazione, fatta di flussi che cambiano percorso, di direttive di chiusura e di apertura arbitrarie e imprevedibili. Le politiche della chiusura dei confini cozzano con la pratica del transito sommerso organizzato in accordo tra i diversi Governi con la collaborazione delle polizie dei vari Stati, la gestione di percosri invisibili e il supporto logistico hanno il colore e le atmosfere della deportazione, binario parallelo dove i diritti civili e le minime norme di umanita’, salute e sicurezza non esistono piu’. Masse di gente mossa come mandria, qualcuno senza scarpe, tutti senza acqua e senza cibo, non c’e’riparo da pioggia freddo e fango, con molti bambini a piedi e in braccio, indirizzati da cordoni di polizia tra i boschi a ritmo veloce e obbligato, verso valichi di confine costituiti da 3 metri di filo spinato tagliato dove si passa tre per volta sotto il controllo degli agenti. Poi caricati in un altro treno che parte solo quando pieno da scoppiare non si sa per dove,  che si ferma di nuovo nel mezzo della campagna, nella notte si deve scendere senza sapere neanche in che Stato ci si trovi. Il percorso obbligato e’ attraverso l’Ungheria, non a caso dove l’apparato repressivo e’ dispiegato al massimo del suo potenziale, con la proclamazione dello stato d’emergenza e l’autorizzazione a esercito e polizia a fare fuoco su chi attraversa i confini illegalmente. Gli agenti dicono di scendere dal treno megafonando in inglese e tedesco – tutti  fuori. Fuori nella notte tra i campi. Al passaggio del corteo  c’e’ un odore greve,  persone che da giorni non possono lavarsi. Alcuni mi chiedono se questa e’ l’Ungheria e gli dico che no, siamo in Croazia, mi chiedono dove li stanno portando – per 4 km a piedi - e dico che credo in Ungheria e poi verso l’Austria ma che non lo sappiamo perche ad ogni momento tutto puo’ cambiare. Nessuno e’ sicuro di niente. Vengono da Siria, Kurdistan, Afghanistan –  sono i nomi delle nostre guerre. Ad aspettarli al treno cordoni di polizia, pompieri, un ambulanza, luci di sirene che abbagliano e confondono, non c’e’ cibo ne acqua, agenti con caschi guanti e cuffiette antipidocchi - oltre a quelli non c’e’ nessuno. Sabato notte c’eravamo noi, che alla fine non abbiamo fatto cortei e cordoni perche’ non chiudessero anche quel valico – infame ma precariamente aperto – lasciando la gente al gelo umido per giorni, come succedeva a Opatovac settimana scorsa,  come davanti a frontiere blindate dove  migliaia di persone restano in attesa per giorni, picchiate all’occorrenza. L’intelligenza si manifesta anche nel sapere cambiare il proprio programma se e’ il caso. Abbiamo distribuito quanto possibile, giacche, scarpe, assorbenti, cibo e acqua e quant’altro. Un vecchio con in braccio un bimbo in una coperta e una bambina in spalla e due al fianco cerca scarpe che gli entrino perche’ ne ha una sola. Corro con una torcia elettrica tra polizia, migranti e attivisti che mi propongono giacche e cibo a cercare questa scarpa tra le mucchie e forse gia’ questa sola scarpa ora vale per me i 600km di viaggio. Il contatto diretto destabilizza la distinzione rigida tra azione politica e umanitaria, impossibile fare un copy paste di schemi conosciuti su un terreno che e’ piu’ forte, nuovo, diverso e sempre in trasformazione.  La realta’ che incontriamo scuote i nostri problemi identitari, ci riporta al confronto con noi stessi e poi a scavalcarlo e finalmente all’ esserci, vedere, agire, entrare in rapporto. La frontiera ufficiale e’ chiusa, vuota, non si passa, non ha senso andarci, non c’e’ nessuno, niente da vedere. I migranti stavano passando altrove -  onde di spinta e conquiste loro in altri orari e in altri luoghi gli aprono varchi in posti imprevedibili e di durata indeterminata con la collaborazione di Stati che da un lato non rinunciano all’idiozia delle politiche di chiusura, ma nella pratica si sanno gia’ sconfitti - sanno di non poterle attuare e aggirano con sotterfugi e segretezza le loro stesse leggi,  infliggono ai viaggiatori questa pena inutile per salvare la facciata delle dichiarazioni ufficiali. Stati che funzionano su doppio binario, su un mondo parallelo fuori dalla propria legge e soprattutto tenuto  invisibile al mondo ufficiale - mondo di lager e di treni speciali e di filo spinato e di megafoni nel buio.  Andare, prima di tutto. Attuare nella pratica pratiche opposte a quelle delle politiche governative. Partecipazione e mobilitazione diretta per dire welcome piangendo e gridando che siamo qui con voi e saremo a Bruxelles a dire basta e torneremo domani ad aspettarvi al treno e ad accompagnarvi e a spingere con voi sulle reti quando e’ il momento. Andare, essere con loro. Questa e’ partecipazione ed ha valore politico - pratiche dal basso, di contrasto, di solidarieta’ di un’ altra non-Europa-fortezza. Il terreno d’azione con cui si concludeva la carta di Lampedusa: aprendo alle pratiche, all’iniziativa diretta - una nostra diversa legislazione da mettere in atto, la sola a cui rispondiamo e opposta alla criminalita’ delle leggi ufficiali. Andare. Quando c’e’ la compresenza dei corpi,  quando un oggetto passa da una mano all’altra si rompe l’incantesimo della distanza mediatica, che mentre ci da tutte le informazioni e ci fa’ sapere (quasi) tutto allo stesso tempo misteriosamente ci allontana e ci separa in mondi non comunicanti. La membrana si lacera e tutto questo ora e’ qui nello stesso spazio tempo. E tutto cambia ancora. (28/9/2015)

Nhandan Chirco
FACK / Et l’Europe alors 

Open Borders Caravan                                                              
                                                                                         

Opatovac e Bapska / Settembre 2015
Foto - Francesco Giusti



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